LERICI E Il GOLFO DEI POETI

Questa è l’ultima parte tratta dal mio libro “Sulle Tracce di Sigerico” che spero di pubblicare questa estate.

Lasciata Sarzana, non ho ancora scavalcato il colle di Pugliola che già le mie narici ghermiscono i vecchi odori, a me tanto cari. Come in un albero, ai primi tepori di marzo, i miei ricordi gemmano squarciando la dura corteccia della vecchia memoria e mi appare la visione del Golfo di La Spezia, detto anche il “Golfo dei Poeti1. Mi appare nitido il ricordo di quel mare azzurro che in lontananza sembra quasi tremolare, sotto il sole caldo dell’estate che lo fa luccicare come milioni di lucciole.

           Sento la fragranza dello iodio di levante, portandomi indietro ai tempi della mia giovinezza quando respiravo quell’aria marina correndo scalzo sui mucchi soffici di posidonia secca, sulle rive della spiaggia di Marianello2.

Già pregusto la visione di Lerici, sotto il colle di Pugliola, come una perla incastonata nella corona del Golfo dei Poeti.

Mentre leggi puoi ascoltare questa bellissima canzone di Michele Zaratto: MY WAY (in italiano)

Quando per la prima volta arrivai a Lerici, in un pomeriggio domenicale, attraversai la galleria e percorsi la discesa della Via Gerini per andare sul lungomare, direttamente all’Hotel Shelley e delle Palme.

All’alba volli affacciarmi al balcone e, ancora insonnolito, vidi ciò che non avrei più dimenticato: Sul lungomare la luce dei lampioni cercava di contrastare i primi bagliori del mattino mentre la brezza di terra2 dondolava le barche ormeggiate facendo cozzare gli stralli di prua  e il sartiame con le crocette acquartierate, facendomi sentire il suono di mille campanelle.

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Note:

1 Golfo dei Poeti: Così chiamato per via dei numerosi scrittori e poeti che hanno scelto di vivere qui per comporre le loro opere. Uno dei più grandi vi perse la vita. Mi riferisco al famoso poeta inglese Shelley che alla giovane età di trent’anni morì naufragando con la sua goletta proprio nelle acque del Golfo, durante una burrasca. Assieme a lui morì il suo amico Edward William.

I loro corpi furono ritrovati sulla spiaggia di Viareggio l’otto luglio 1822 e furono bruciati sulla stessa spiaggia, alla presenza dei suoi amici Lord Byron e Leight Hunt.

Non molto tempo dopo furono sepolti a Roma e a volte mi chiedo perché non fosse stato portato a Lerici, la sua dimora preferita, dove abitava in una villetta (sulla collinetta tra Lerici e San Terenzo).

Nel 1882, nella sua casa fra Lerici e San Terenzo, il poeta Shelley scrisse: “Io come la rondine di Anacreonte ho lasciato il mio Nilo  e sono migrato qui per l’estate , in una casa isolata di fronte al mare e circondato dal soave e sublime scenario del Golfo della Spezia.”

Volle paragonarsi al peregrinaggio di Anacreonte, sommo poeta dell’antica Grecia, che all’età di 25 anni, nel 545 a.C., cominciò a migrare ad Abdera in Tracia, a Samo e poi a Larissa in Tessaglia.

2 spiaggia di Marianello: Quartiere e Via Marianello, la via che porta all’omonima spiaggia e alle calette sul litorale di ponente di Licata (AG).

3 brezza di terra: vento di terra, quella brezza che ben conoscono i marinai. Quando il tempo è stabile, al mattino soffia sempre da terra verso il mare. Al pomeriggio avviene il fenomeno inverso: dal mare verso terra.

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Quella mia prima volta restai affacciato al balcone, incurante del fresco mattutino e già sentii affievolire le stanchezze del giorno prima. Mi sentii appagato. Era come far parte di uno spettacolo armonioso. Forse i lericini sono abituati e non apprezzano più il dono meraviglioso che la natura benigna gli ha dato.

Per capire l’effetto che Lerici1 fece su di me voglio ricordare un aneddoto: Un giorno, mentre camminavo verso il circolo velico, guardando un po’ il mare e un po’ il castello, mi accorsi che c’era una pescheria e mi avvicinai a guardare.

            In un attimo, poche parole mi riscossero dalla tranquilla passeggiata: “allestiti, staiu aspittannu!” (sbrigati, sto aspettando). Furono quelle poche parole, in dialetto siciliano, che mi attirarono dentro la pescheria.

             Al bancone c’era una signora e le dissi in dialetto siciliano: “Ppì favuri, do’ lumeri e-ddeci cicali!” (due “pesci prete” e dieci canocchie).

             Fu così che appresi, dopo i soliti convenevoli, che la signora era la moglie del Sig. Maio, pescatore di origine siciliana (Milazzo). Mi disse anche che un comproprietario era il Sig. Brancaleone, pescatore di origine palermitana, e che stava aspettando la Visita di un’altra signora siciliana: la Signora Grillo. Dopo un po’ uscii pensando che il “mondo” era davvero piccolo e che in ogni paese che vai trovi sempre un siciliano.

             Ma non sapevo che il “mondo” doveva apparirmi ancora più piccolo. Una settimana dopo recandomi alla stessa pescheria conobbi la Signora Grillo: aveva lasciato il mio paese sessant’anni prima per stabilirsi a San Terenzo (un piccolo borgo frazione di Lerici). Inoltre aveva un fratello che abitava al quarto piano dell’edificio dove abitavano i miei genitori.

             Quel giorno, lasciando la pescheria, sentii il bisogno impellente di andare a immergermi a mare, attraversai la galleria sotto il castello e arrivai al ristorante “Ciccillo a mare” dove andai a pescare le “padelle di mare”, fare dei tuffi e infine restare a galleggiare sul dorso, chiudendo gli occhi e ritornando alla mia giovinezza.

Pensando alle vicine calette, a sud di Lerici, mi sentii appagare dall’armonia che mi riportava a casa, nei luoghi della mia giovinezza, a ponente del mio paese natio.

Continuando a galleggiare, immobile e sdraiato sul dorso, alzai lo sguardo verso sinistra e sulla mole maestosa del Castello di Lerici2 che incombeva altissimo su di me con i suoi potenti e antichi bastioni.

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Note:

1 Lerici: (Portus Illycis), da Mons Ilicis (Monte dei Lecci), di origine etrusca fu conquistata dai liguri e successivamente dai Romani e successivamente dai longobardi. Intorno al 1240 i Pisani conquistarono Lerici ma non potendo espugnare Portovenere, che si trova all’altra estremità del golfo, consolidarono le difese di Lerici e del Castello. Il dominio dei pisani durò quasi quindici anni e nel 1254 furono sconfitti dai genovesi.

2 Castello di Lerici: Castello di Lerici: Intorno al 300 Il castello fu assediato sia dai Guelfi che dai Ghibellini che si scontrarono due volte a Lerici. Anche questa volta il castello resistette senza essere espugnato.

3 Grotta di Maralunga: : la località subito a sud di Lerici che dette il nome alla “Madonna di Maralunga” molto venerata dai Lericini. A questa località dedicai la poesia “Alla ricerca della grotta di Maralunga” (vedi il mio libro “La perdita della propria lingua”).

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Immaginai le numerose calette e spiagge verso sud e fino a Tellaro, a cominciare da qualcosa che difficilmente si può dimenticare. Parlo della “Cala di Maramozza” all’interno della quale è nascosto un vero gioiello della natura: “La Caletta” che i lericini cercano di non far conoscere ai forestieri, infatti l’accesso alla “Caletta” non è affatto pubblicizzato. Via mare, con la barca, si trova facilmente.

Via terra, dal centro di Lerici e a piedi, si può prendere un “carrugiu” che porta al bivio della “Località Caletta”. (I carrugi sono stretti vicoli risalenti al medioevo. All’epoca servivano per una migliore difesa contro le incursioni saracene.)

Nelle immagini che seguono si capisce perché questo è chiamato il “Golfo dei Poeti”. Ora la parola tace. Le sensazioni prevalgono mentre la natura ti avvolge con un manto verde sopra un mare cristallino.

Continuando verso sud puoi scendere alla caletta “Eco del Mare”, ma qui si può evitare la discesa e la più dura risalita a piedi, perché si può prendere un comodo ascensore che dalla strada ti porta direttamente alla scalinata sulla spiaggia e viceversa. Un luogo meraviglioso dove le restrizioni comunali impediscono lo “sfruttamento” turistico ed edilizio. Le costruzioni sono adattate alla natura bellissima di questa caletta, tanto da portarti indietro ai tempi degli antichi borghi dei pescatori. Purtroppo questa bellissima caletta è privata e con costi alti.

Dopo di questa, le bellissime “spiagge libere e attrezzate di Fiascherino”. Qui, le autorità comunali fanno bene a resistere alle ricche offerte di imprenditori privati che cercano di sfruttare ancor di più questi luoghi meravigliosi privando i fortunati abitanti del luogo e i numerosi turisti di questo bene prezioso.

Qui scrissi le due poesie del mio libro “La Perdita della Propria Lingua”: “Il mare di Fiascherino” e “Pure ai vecchi capita a Fiascherino”

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La versione audio (in dialetto siciliano) della poesia “Il mare di Fiascherino”, scritta proprio qui, l’11 settembre 2018:

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Il testo della poesia tradotto in italiano:

Il mare di Fiascherino

– Solo alla sera ci sta bene un bicchiere di vino,
basterebbero i pini e le stelle a farti saziare.

-Mentre ero seduto al ristorante fiascherino 
una2 inglese: “guarda guarda, come brilla il mare!

-e il mio vicino: “forse è l’effetto del vermentino?” 
No!” gli dissi, “è come se avessero acceso mille lampare

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Il mio consiglio, a chi vuole visitare questi luoghi, è di abbandonare la macchina a Lerici e, a piedi, raggiungere queste meraviglie dedicando almeno un giorno a ciascuna di esse; solo così si possono assorbire tutte le sensazioni di quiete e benessere che solo la natura può darti, facendoti sentire lontano dai rumori del mondo e in una nuova dimensione.

A chi non vuole o non può fare queste passeggiate, consiglio anche di prendere una comoda “navetta” che ogni mezz’ora parte da Lerici (e ritorna) facendo tappa lungo questi luoghi fino a Tellaro, l’ultima frazione a sud di Lerici. Tellaro un borgo marinaro da fiaba, di appena ottocento abitanti che d’estate diventano diecimila, arroccato sulla scogliera.

Percorrendo i suoi vicoli stretti, è come se il profumo dei limoni e i gerani, pendenti dalle finestre colorate, ti dessero il benvenuto. Si potrebbe definire la “Sesta Terra”, per paragonare Tellaro agli altri cinque borghi a nord di Portovenere: “Le Cinque Terre”, l’altra meraviglia di questi luoghi incantati.

Per dare un’idea basti sapere che Tellaro è considerato uno dei borghi più belli d’Italia, dove si stabilirono diversi poeti tra cui cito soltanto:

  • “Eugenio Montale” – Premio Nobel per La Letteratura, che scrisse:

Verso Tellaro

…cupole di fogliame da cui sprizza
una polifonia di limoni e di arance

e il velo evanescente di una spuma,
di una cipria di mare che nessun piede d’uomo

ha toccato o sembra, ma purtroppo 
il treno accelera…

“Mario Soldati” – Poeta, scrittore e giornalista che amava guardare Tellaro da lontano, sdraiato su una barca a mare:

“Un Nirvana tra mare e cielo, tra le roccia e la montagna verde, dalle case lunghissime, altissime e strettissime”

Il simbolo di Tellaro è il polpo. Un’antica leggenda, tramandata dalla popolazione narra che durante le incursioni saracene una piovra si sia arrampicata sul campanile della chiesa di San Giorgio e suonò le campane per dare l’allarme

Ma alla natura bisogna accostarsi con rispetto e accortezza. Fu questa la lezione che imparai a mie spese, quando provai per la prima volta una paura ancestrale: “la paura di morire”.

Era una mattina di settembre quando, a causa del mare mosso, decisi di cambiare itinerario e mi avviai su per un vicolo verso la campagna di Tellaro. Imboccai un sentiero in salita che poi deviava verso sud.

Dopo un po’ il sentiero si inoltrò in un bosco e si fece più stretto anche a causa dei rami degli alberi e dei cespugli. Continuai in discesa quando sentiti un forte boato e rimbombo. Mi fermai subito e leggermente allarmato cercai di individuare la fonte del rumore. Fu allora che risentii ancora il rimbombo e riconoscendo il frastuono della risacca, subito mi lasciai sedere per terra e con le gambe distese conficcai i tacchi degli scarponi e la punta di “Don Tanu1sul terreno, spingendomi indietro.

Erano le alte onde del mare che frangevano spumeggiando sugli scogli di quelle pareti a strapiombo verso cui mi stavo dirigendo. Mentre la risacca continuava ad angosciarmi guardai il cielo azzurro e le rade nuvole che si rincorrevano velocemente, quasi ridendo beffarde del mio terrore. Restando sdraiato per terra ebbi la conferma di quanto siamo fragili di fronte alla potenza della natura e ricordai le parole di Wilbur Smith, scritte nel suo libro autobiografico:

Leopard Rock:

“La natura selvaggia è bella come l’amore e letale come il crepacuore”.

Pian piano strisciai indietro, come i gamberi, per circa venti metri. Mi alzai e raggiunto il sentiero fra i cespugli trovai, seminascosto dai rami, un piccolo cartello con su scritto: “Sentiero molto impegnativo. Riservato ai più esperti”. Sul mio volto spuntò un sorriso sardonico e, mentre il cuore diminuiva di martellare, mi avviai verso Tellaro in pace con me stesso ricordando la poesia di:

  • Emily Dickinson, poetessa statunitense dell’800:

“Natura è tutto ciò che noi vediamo:
il colle, il pomeriggio, lo scoiattolo,

l’eclissi e il calabrone.
O meglio, la natura è il paradiso.

Natura è tutto ciò che noi udiamo:
il bobolink2, il mare, il tuono, il grillo.

O meglio, la natura è armonia.
Natura è tutto quello che sappiamo

senza avere la capacità di dirlo,
tanto impotente è la nostra sapienza

a confronto della sua semplicità.

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Note:

1 “Don Tanu”: Don Gaetano, il mio fedele bastone di betulla, che mi ha accompagnato nelle lunghe camminate e sui sentieri della Via Francigena. Vedi la poesia “La Via degli Dei”, nel mio libro: La perdita della Propria Lingua”. https://www.amazon.it/P%C3%88RD%C4%ACTA-Propya-Lingwa-SICILIANO-TRADUZIONE/dp/B08KK2LL9X/ref=sr_1_1?__mk_it_IT=%C3%85M%C3%85%C5%BD%C3%95%C3%91&keywords=la+perdita+della+propria+lingua&qid=1637316212&sr=8-1

2 bobolink: Dolichonyx oryzivorus”. Un uccello canoro del continente americano, con il dorso bianco e il petto nero.

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Oggi è il 25 aprile, anniversario della “Liberazione dal Nazi-Fascismo” e giorno dedicato alla memoria della Resistenza Partigiana. I vari notiziari mi ricordano la casuale scoperta che feci durante una delle mie solite camminate di fine settimana nei dintorni di Lerici.

Nel maggio 2009 mi ero incamminato sulla salita verso Tellaro, sempre con i miei fedeli amici: lo zaino e il vecchio bastone (Don Tanu), per andare al “Monte Rocchetta”. Giunto in Località Cala, appena oltre Via Carpanini, sulla sinistra presi un sentiero in località Narbostro verso il borgo di “La Serra”.

Continuai a salire e ogni tanto mi fermai ad ammirare e fotografare lo spettacolo mozzafiato del “Golfo dei Poeti”.

Continuai a salire fino all’incrocio per “Rocchetta”

Come accade spesso, durante le camminate per sentieri sconosciuti, anche questa volta fui attratto da questo cartello e dai quei pochi e ripidi gradini che facevano immaginare un percorso faticoso.

Continuai la salita incrociando altri sentieri e già pensavo di riposarmi e fare uno spuntino assaporando anche la quiete che tutt’intorno diventava tangibile in quel bosco di lecci animato solo dal cinguettio degli uccelli. Mentre mi sdraiavo su un vecchio tronco d’albero abbattuto, vidi una grande casa diroccata con una vecchia lapide fissata sulla facciata.

Quel giorno non sapevo ancora di essermi imbattuto in uno dei luoghi più amato dai lericini. Avevo scoperto “Villa Volpara” detta “IL FODO”.

Lerici non brilla soltanto per la bellezza della sua natura ma anche per la storia e la coscienza democratica che la gente di queste contrade seppe lasciarci.

Nel settecento, questa casa diroccata era una villa bellissima che i suoi proprietari, la nobile famiglia Benedetti, destinava a casino di caccia con tanto di parco, scuderie, scantinato e la solita chiesetta.

Durante la II Guerra Mondiale, nella cisterna di questa casa i partigiani avevano organizzato una stamperia clandestina per distribuire volantini e manifesti contro i nazi-fascisti. In molti rischiarono la vita per acquistare, trasportare e montare una macchina che pesava 700 chilogrammi e che dovette essere traportata su un carretto fino al “Fodo”. I fondi per l’acquisto furono raccolti dal professore di filosofia Ennio Carando, mentre il posto dove stampare fu scelto da un abitante di “La Serra”: Argilio Bertella. A stampare si succedevano Tommaso Lupi, Armando Isoppo. Alfredo Ghidoni e Anselmo Corsini. Era da qui che partivano i pacchi destinati alla Liguria di levante e alla Lunigiana.

Il 10 settembre 1944, una pattuglia di soldati tedeschi si fermò proprio vicino alla cisterna facendo uno spuntino dove i partigiani smisero di stampare.

È di questi giorni (maggio 2021) la notizia dell’acquisto della villa da parte del Comune di Lerici. All’acquisto ha contribuito un famoso benefattore: Leonid Boguslavsky1, che ha donato anche 500.000 Euro alle famiglie bisognose di Lerici dove ha scelto di risiedere.

“Il Fodo” diventerà un museo della Resistenza e simbolo di una popolazione che non fu mai doma. Quel giorno, lieto della scoperta, proseguii fino al Santuario di Monte Rocchetta dove mi fermai a mangiare.

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1 Leonid Boguslavsky: Genio della matematica e dell’informatica, con doppia nazionalità russa e canadese, è celebre nel mondo del venture capital ed è stato inserito nella classifica dei miliardari stilata da Forbes. Filantropo legato alla città di Lerici che si è distinto per il suo impegno e per le sue opere nel campo delle scienze, delle lettere, delle arti, dell’industria, del lavoro, della scuola, dello sport, con iniziative di carattere sociale e assistenziale. Innamorato del Golfo dei Poeti, ha scelto Lerici come sua residenza comprando una villa che si affaccia sul golfo.

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Quello, per me fu un bel giorno. Feci qualche foto, anche con il mio bastone in primo piano, e mi avviai sul sentiero in discesa verso La Serra e poi giunsi in “Via Don Minzoni”, la strada che da Lerici porta a Tellaro.

Lerici ha anche una storia antica e la coscienza di libertà e indipendenza non è mai sopita nell’animo di queste popolazioni. L’antica “Ericis portus” era per i romani il porto di “Erice”, figlio di Venere (Dea della bellezza) e di Nettuno (Dio del mare).

I liguri, che anticamente avevano invaso il Piemonte e la valle d’Aosta, furono avversari indomiti e costrinsero i romani ad una brutta battuta d’arresto nella loro travolgente avanzata verso la Gallia.

Nel 238 a.C. e per più di cento anni, proprio nelle colline di Lerici avvennero ripetuti e durissimi scontri fra l’esercito romano e i liguri.

Nel 193 a.C. dal Monte Caprione, Romito Magra, Ameglia e Montemarcello, più di ventimila liguri si riversano contro gli avamposti romani nella pianura di Luni (la XXVIII tappa di “Sigerico”) alla foce del Fiume Magra.

Su questa collina si trova anche un sito preistorico ricco di monoliti che furono posizionati dall’opera umana e proprio uno di essi, ogni anno, regala una visione fantastica ai numerosi visitatori che vi si recano.

É la visione della “Farfalla Dorata” o “Farfalla di Luce”, quel fenomeno di luce che in questo monolito “archeoastronomico” avviene solo nel periodo del “solstizio d’estate”.

Il sole al tramonto, attraverso questa fessura nel monolite, proietta un fascio di luce a forma di farfalla su un altro monolite.

Nel 186 a.C. ottomila romani comandati dal console Quinto Marcio Filippo subiscono una pesantissima sconfitta nei boschi delle colline di Lerici. Fra i liguri si distinsero gli antichi abitanti di La Serra, il piccolo borgo frazione di Lerici, che vanta antichissime origini.

Il Petrarca, nel suo poema Africa, chiama Lerici Fortissima Erix, scrivendo: “Allungando il cammino a’ naviganti surge, in porto di Venere, già cara isoletta alla Diva, e a lei di fronte s’alza il fortissimo Lerici, che i nomi delle sicule spiagge anco ritiene” (precisando che esiste anche Erice in Sicilia).

Quanto sopra per chiarire la fierezza di questo popolo che si distinse anche durante il Risorgimento, per lo spirito patriottico e d’indipendenza. Questo borgo di patrioti e naviganti, sede di mazziniani e repubblicani, nella metà dell’800 partecipava ai moti rivoluzionari contribuendo all’indipendenza dell’Italia. Nonostante i pochi abitanti, furono otto i lericini che parteciparono alla Spedizione Garibaldina dei Mille e morirono per gli ideali dell’Unità d’Italia.

Fin qui ho illustrato le località a sud di Lerici ma verso nord e a poca distanza esistono altre perle di questo bellissimo golfo, a cominciare da San Terenzo: il borgo più amato dai poeti inglesi. Oltre alla bellezza dei suoi luoghi custodisce una famosa storia garibaldina: Il salvataggio di Garibaldi ad opera di un Santerenzino.

Ma questa sarà un’altra pagina: “La pagina di San Terenzo